23/7/2025. Data da cerchiare in rosso per l’SSC Napoli. E no, non per qualche colpaccio di mercato. Stavolta il protagonista è stato Rabona, sponsor betting che ha scatenato un terremoto amministrativo durato meno di ventiquattro ore. Una partnership annunciata con tutti i crismi – “Official Regional Betting Partner in Europa” – e sparita più velocemente di un contropiede di Kvara. Il tempo di accorgersene, e tutto era già finito. Rabona chi? Mai sentito, direbbero ora dalle parti del club azzurro.
Ma davvero è tutto finito così? Oppure – ed è qui che la storia si fa interessante – questo piccolo terremoto ha fatto emergere qualcosa di molto più grosso. Tipo le contraddizioni di un sistema normativo che dovrebbe proteggere i consumatori italiani ma finisce per mettere i bastoni tra le ruote al calcio nostrano quando prova a giocare la partita dell’internazionalizzazione.
Perché il caso Napoli e Rabona, sponsor betting finito subito sotto la lente dell’ADM, non è il classico scivolone estivo. È piuttosto lo specchio di un equilibrio che regge a malapena tra normative sempre più rigide e le esigenze di mercati che ragionano in termini globali. Punto.
L’autogol che ha fatto tremare Castel Volturno: 24 ore di fuoco per il Napoli
Leonardo Giammarioli se lo ricorderà questo luglio. Chief Global Business Officer del Napoli, aveva definito l’accordo “un capitolo entusiasmante” nella strategia europea del club. Parole giuste, momento sbagliato. Sulla versione inglese del sito ufficiale azzurro era spuntato l’annuncio della partnership con Rabona. Operatore di scommesse. Sede a Curaçao.
Ecco, già qui qualcosa non quadrava.
Perché Rabona – e questo lo sa chiunque mastica un po’ di mercato italiano del betting – non ha nessuna concessione per operare nel nostro paese. Zero. Anzi, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva già oscurato venticinque siti riconducibili a questo operatore. Insomma, non proprio un partner ideale per un club di Serie A. Una roba che agli addetti ai lavori è saltata all’occhio subito, evidentemente meno a chi aveva messo in piedi l’operazione a Napoli.
L’intervento lampo dell’ADM: quando la vigilanza funziona (fin troppo bene)
E infatti l’Ufficio Controlli della Direzione Giochi di ADM non ha perso tempo. Segnalazione formale al Napoli e alla Lega Serie A. Diffida immediata. Rimozione del collegamento. Tutto nel giro di poche ore – una tempestività che fa onore al sistema italiano, ma che dice anche qualcos’altro. Tipo: ma come è possibile che sia successo?
La presenza di quel link diretto alla piattaforma era un problema tecnico serio. Non l’accordo in sé – le partnership territoriali sono prassi consolidata ormai – ma proprio l’implementazione. Altri club della Serie A maneggiano modelli identici senza finire nei guai, grazie a sistemi di geo-targeting più sofisticati che filtrano automaticamente gli utenti italiani. Però – e qui sta il punto – il Napoli non stava mica cercando di fregare la legge italiana. Non stava promuovendo scommesse illegali nel nostro mercato. Stava semplicemente provando a monetizzare i propri tifosi europei. Esattamente quello che fanno Juventus e Milan da anni, per capirci.
Allora perché questo casino? Beh, forse perché navigare in queste acque non è proprio una passeggiata.

Decreto Dignità vs sponsor betting: la guerra che nessuno può vincere
Il Decreto Dignità del 2018. Sei anni dopo, ancora lì a fare da spartiacque. Probabilmente l’approccio più duro d’Europa verso la pubblicità del gioco d’azzardo. L’articolo nove non lascia spazio a interpretazioni: vieta “qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta” sui giochi con vincite di denaro. Un muro. Costruito con ottime intenzioni – tutelare i consumatori – ma che nella realtà dei fatti ha creato una serie di effetti che forse nessuno aveva previsto. Soprattutto per gli sponsor betting dei club italiani.
Doppia competenza, doppi controlli. ADM controlla chi può operare, AGCOM vigila su come si può comunicare. Un sistema di controlli incrociati che funziona – eccome se funziona – ma che è anche maledettamente complesso. Ogni mossa commerciale dei club deve essere pesata al grammo per non beccarsi sanzioni che possono arrivare a centinaia di migliaia di euro.
Non proprio una barzelletta.
Il paradosso delle “territorial partnerships”: tutti lo fanno, pochi lo ammettono
Juventus con Instant Casino. Milan con Boomerang. Entrambi hanno sviluppato partnership territoriali che escludono l’Italia nero su bianco. La tecnologia del geo-targeting fa il resto: contenuti diversi per utenti italiani ed europei, piena compliance normativa garantita.
Equilibrio sottile ma che regge, almeno finché si hanno le competenze tecniche giuste e si investe nelle infrastrutture digitali appropriate. Però – e qui casca l’asino – serve soprattutto una cosa: la consapevolezza che il mercato del calcio moderno è globale per definizione. Le normative, invece, restano cocciutamente nazionali. E quando queste due realtà si scontrano… beh, succede quello che è successo a Napoli.
La bomba UE che può cambiare tutto: quando Bruxelles bacchetta Roma
Ma c’è dell’altro che complica il quadro. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 marzo 2025 – relativa a un caso lituano – ha stabilito che norme nazionali che vietano o limitano la promozione del gioco d’azzardo rientrano tra le “regole tecniche” soggette a notifica preventiva alla Commissione UE tramite procedura TRIS. In assenza di notifica, tali disposizioni non possono essere fatte valere nei confronti degli operatori. Un principio che, se applicato al Decreto Dignità, metterebbe in discussione la legittimità del divieto pubblicitario introdotto nel 2018. Non c’è ancora una pronuncia definitiva sul caso italiano, ma il Consiglio di Stato ha già chiesto alla Corte di chiarire se anche la normativa italiana dovesse essere notificata: la risposta potrebbe ridisegnare l’attuale impianto regolatorio in materia di pubblicità del gioco.
Non stiamo parlando di cavilli legali. Quando una norma che regola un mercato da oltre cento miliardi di euro l’anno presenta vulnus procedurali così evidenti, tutto il castello di carte diventa fragile. Come fa un club a navigare sicuro quando la bussola normativa potrebbe indicare il nord sbagliato? Risposta semplice: non può. E infatti molti preferiscono l’estrema prudenza. Meglio rinunciare a opportunità commerciali legittime che rischiare sanzioni salate. Strategia comprensibile, certo. Ma che ha un prezzo: i club italiani giocano con un handicap rispetto ai colleghi europei.
I conti che non tornano: quando il divieto costa più del permesso
Seicento milioni di euro. Questa la stima delle perdite della Serie A per mancati introiti da sponsorizzazioni betting negli ultimi cinque anni. Una cifra che fa riflettere, soprattutto se confrontata con quello che serve per stare al passo con la concorrenza internazionale.
Ma il vero danno non sono nemmeno questi soldi. Il problema è strutturale, più profondo. Gli sponsor internazionali del betting – settore che muove decine di miliardi in Europa – tendono a concentrare gli investimenti dove possono sviluppare strategie integrate. Non solo questione di soldi immediati, ma di posizionamento strategico nel mercato globale dell’entertainment sportivo.
E poi c’è lui: il paradosso dello “Stato biscazziere“.
Il paradosso dello “Stato biscazziere”: incassa miliardi ma vieta la pubblicità
L’Italia incassa ogni anno miliardi dalle tasse sul gioco d’azzardo. Uno dei principali beneficiari economici del settore a livello mondiale. Allo stesso tempo, le stesse istituzioni che ci guadagnano limitano drasticamente le possibilità di marketing dell’industria.
Schizofrenia? Forse. Strategia? Difficile da dire.
Le nuove concessioni online raccontano un’altra storia interessante. Costo passato da duecentomila a sette milioni di euro. Un salto che serve a consolidare il mercato forzatamente: da oltre ottanta operatori attuali si passerà a una cinquantina di concessioni, circa 45 aziende, tutte con maggiori risorse e – presumibilmente – più attente alla compliance. Questo consolidamento potrebbe facilitare i rapporti con i club italiani. Operatori più grandi, team legali strutturati, budget importanti = naturale propensione verso partnership trasparenti e tecnologicamente evolute.
Il prezzo? Ulteriore irrigidimento di un mercato già iperregolamentato.
Onestamente, l’impressione è che il sistema stia reagendo alle proprie contraddizioni con più regole invece che con regole migliori. Approccio comprensibile per tutelare i consumatori, ma che rischia di penalizzare ancora di più la competitività del calcio italiano.

Cosa succederà ora: tre scenari per il futuro degli sponsor betting
L’evoluzione nei prossimi mesi dipenderà da equilibri delicati. Pressioni economiche, vincoli europei, sensibilità politica sulla ludopatia. Tre scenari possibili, ognuno con implicazioni diverse.
Scenario 1: la riforma “soft” che accontenta tutti (forse)
Riforma “morbida” del Decreto Dignità che legalizzi le territorial partnerships in modo esplicito. Tutele ferme per il mercato domestico, libertà per le strategie commerciali internazionali. Soluzione pragmatica che richiederebbe coraggio politico non scontato.
Probabilità? Media. Dipende da quanto pesano le lobby in campo.
Scenario 2: pugno di ferro totale (con buona pace della competitività)
Status quo con controlli ancora più stringenti. L’efficacia ADM nel caso Napoli-Rabona potrebbe spingere verso maggiore enforcement. Sanzioni più severe, controlli capillari. Massima tutela consumatori italiani, svantaggio competitivo accentuato per i club.
Probabilità? Alta, se prevale la linea dura.
Scenario 3: l’apertura forzata dall’Europa
Apertura controllata imposta dalla giurisprudenza UE. La sentenza TRIS potrebbe obbligare il legislatore a rivedere tutto. Spazi per framework flessibili, sandbox regolamentari per l’innovazione.
Probabilità? In crescita, considerando i venti che tirano da Bruxelles.
Non proprio semplice gestire questi equilibri, soprattutto con ogni paese europeo che cerca la propria formula per regolare un settore in continua evoluzione.
La lezione che il calcio italiano non può permettersi di ignorare
Il dietrofront rapido del Napoli sulla partnership Rabona rappresenta molto più di un incidente nella strategia commerciale azzurra. È la cartina tornasole di un sistema normativo che fatica a stare al passo con mercati sempre più globalizzati.
L’efficacia dell’intervento ADM conferma la solidità dei controlli italiani – nessun dubbio su questo. Ma l’esistenza stessa dell’episodio evidenzia le difficoltà che i club incontrano navigando un quadro normativo complesso e in continua evoluzione. Quando società con staff legali strutturati e consulenti specializzati finiscono in situazioni del genere, il problema probabilmente non è la competenza. È la chiarezza delle regole.
Il futuro del marketing sportivo italiano si giocherà sulla capacità di trovare equilibri sostenibili. Tutela consumatori nazionali da una parte, competitività internazionale dall’altra. Servirà flessibilità normativa e chiarezza procedurale, senza rinunciare alle tutele che hanno reso il modello italiano punto di riferimento nella lotta alla ludopatia.
Difficile? Sì. Impossibile? No.
Il caso Napoli-Rabona finirà negli archivi come curiosità dell’estate 2025. Le questioni sollevate continueranno a condizionare le strategie commerciali dei club italiani ancora per parecchio tempo. E forse è proprio questo il vero insegnamento. Una giornata iniziata male e finita peggio che in realtà ha fatto emergere contraddizioni che era ora di affrontare. Sul serio, stavolta.